Ma cos'è questa crisi?

L’intellighentia borghese, legata a fili diretti o indiretti al capitale, batte il tamburo dei suoi pensieri qualificando la crisi attuale, che sta corrodendo il sistema dominante, come una crisi esclusiva del capitalismo finanziario. Senza essere “scienziati” in economia (e pur non occupando cattedre universitarie…) è tuttavia lampante che – verificandosi da anni una diminuzione di utilizzo della capacità produttiva e degli investimenti in capitale fisso – è proprio in questo “fenomeno” che si dovrebbe ricercare e spiegare il “perché” del conseguente afflusso di capitali verso il mercato finanziario e non più verso quello produttivo di merci. Risulterebbe che con profitti industriali in difficoltà, si cerca un'autovalorizzazione (impossibile) del denaro attraverso manovre speculative di vario genere. E’ quindi inevitabile il calo occupazionale (anche a seguito del progresso scientifico-tecnologico), l’attacco ai salari, l’aumento dei disoccupati (quindi la diminuzione dei loro “consumi”) con una paradossale ricerca da parte del capitale di aumenti della produttività in un mercato già saturo di merci (e quindi estremamente competitivo) e nel contempo scarso di acquirenti solvibili.

Ampi spazi, dunque, per la finanza speculativa la quale ha però il suo limite nel calo di quel plusvalore al quale essa attinge per i propri guadagni e che solo lo sfruttamento della forza-lavoro nel processo di produzione di merci potrebbe ottenere valorizzando il capitale. La finanza non può vivere e moltiplicarsi per forza propria se non costringendo il capitale stesso ad autodivorarsi attraverso scorribande di titoli cartacei con astratte aspettative di interesse su un capitale anticipato ma non realizzato; un plusvalore virtuale, non “prodotto” e quindi “estratto” dall’uso-sfruttamento della forza-lavoro per produrre merci da vendersi poi sul mercato e non certo per riempire i magazzini. Il cane si mangia la coda…

L’intreccio fra capitale industriale e bancario si rompe; si formano bolle esplosive quando (anzi: dopo che) la “estrazione” del plusvalore nei processi produttivi subisce limiti materiali (troppa produttività tecnologica della forza-lavoro!) e si diffonde l’illusione di creare ricchezza col ricorso a compravendite speculative di capitale fittizio. Si accrescono i volumi di un giro vorticoso di indebitamenti fondati su astratte aspettative che il plusvalore realmente presente non può soddisfare né oggi né soprattutto domani, in un crescendo di movimenti e rotazioni a base di immateriali rendite, interessi e imposte. E così il capitale finanziario altro non fa che consumare plusvalore rapinato altrove, illudendosi su una moltiplicazione ottenuta per… grazia divina o attraverso un succedersi di passaggi che anziché costituire un'ulteriore capitalizzazione del denaro inizialmente “investito” nei mercati finanziari, lo mettono a rischio dissolvendolo in una bolla pronta ad esplodere improvvisamente.

Il capitale, se si limitasse alla produzione di “valori d’uso”, si consumerebbe in una riproduzione semplice, riproducendo solo il rapporto capitalistico, ovvero capitalisti da una parte e salariati dall’altro. Ma per riprodurre questo rapporto su scala allargata (mantenendolo in vita) si impone l’accumulazione di capitale su scala allargata. Ed è così che si afferma quella che Marx definisce la legge assoluta del modo di produzione capitalistico: produzione di plusvalore, ossia il “fare di più”, crescere, produrre per produrre merci e venderle!

Da un secolo almeno il capitalismo ha iniziato a consumare improduttivamente quantità sempre maggiori di capitale-denaro senza poterlo in alcun modo riprodurre e perciò, in definitiva, andando ad incidere negativamente sui saggi di profitto. È il caso non solo delle spese in armamenti ma anche di tutte quelle necessarie al mantenimento delle funzioni esercitate dallo Stato. Risultato: un “consumo” improduttivo di plusvalore. Almeno fino a quando esso è disponibile… Nel medesimo tempo il sistema vede concretizzarsi quella crisi inevitabile quando la distribuzione del prodotto sociale avviene solo privatamente, attraverso la mediazione del denaro nello scambio delle merci. Ma in esse dev’essere contenuto sufficiente plusvalore (profitto) per la remunerazione del capitale investito, e la possibilità di realizzarlo nel mercato, grazie ad una capacità d’acquisto che in gran parte dovrebbero avere proprio i lavoratori salariati. Chiaro che se questi sono disoccupati, e aumentano di numero assieme ai loro bisogni che il capitale, producendo merci da scambiare con denaro, non può soddisfare, il sistema economico entra in crisi. Tutta la sua struttura, dove la sfera produttiva e quella finanziaria sono interconnesse, traballa mostrando che Banche e Finanza altro non sono che strumenti funzionali (?) al modo di produzione e riproduzione del capitale. Parlare di automatismi, di autoregolamentazione o di un disegno equilibrante di politica economica, diventa una illusione tragica quando nella produzione la tendenza ad un aumento del capitale, investito in impianti e materie prime, assume enormi proporzioni rispetto ai salari di una massa di forza-lavoro in forte calo a causa dell’avanzare di tecnologie sempre più moderne ed efficienti.

E’ quindi subentrata un'ingegneria finanziaria fattasi fenomeno di pura follia – il denaro che figlia denaro – in una vortice di speculazioni che ad un certo punto sta aumentando e complicando i sintomi di un collasso dell’intero sistema. Al punto che – senza il risveglio della classe operaia – presenta la via obbligata della guerra. Basta guardarsi attorno.

DC
Domenica, December 20, 2015