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Home ›Modelli macroeconomici traballanti
Dall'ultimo numero appena uscito della rivista Micromega si apprende di una lettera scritta dagli studenti di una prestigiosa università, quella di Harvard, indirizzata al loro docente Gregory Mankiw e pubblicata dalla Harvard Political Review. Si tratta dell'autore di un diffuso manuale universitario di macroeconomia, il Mankiw (l'accademico Mankiw fu capo dei consiglieri economici del presidente Bush), adottato anche nelle università italiane accanto al Blanchard.
Gli studenti accusano Mankiw di dare una
specifica - e limitata - visione dell'economia [...con la quale si perpetuano] assetti di disuguaglianza economica inefficienti e problematici nella nostra società […] Uno studio accademico legittimo di economia deve includere una discussione critica sia dei vantaggi che dei difetti dei differenti modelli economici semplificati. Siccome il suo corso non include fonti primarie e raramente adotta articoli di riviste accademiche, ci ritroviamo con uno scarso accesso ad approcci economici alternativi.
Un folto gruppo di studenti ha abbandonato la lezione del 2 novembre scorso unendosi alla marcia del movimento Occupy Wall Street a Boston. In effetti, nonostante i professori considerino l'economia una scienza esatta e pertanto riservata in esclusiva ai “competenti”, le analisi, le ricette e le soluzioni durano lo spazio di pochi giorni, per poi essere smentite dai fatti che si abbattono, frantumandole, sulle fantasie dei monetaristi o dei neokeynesiani. Così, le “scelte” sono fra chi approva le politiche monetariste espansive e chi si arrampica fra le “idee” di scuole keynesiane non sempre fra loro concordi oppure di circoli e personaggi sraffiani, kaleckiani, persino pseudo-marxisti eccetera. Tutti si dichiarano indipendenti da influenze politiche della destra o della sinistra borghese…
I modelli matematici riferiti al sistema finanziario dominante fanno inevitabilmente cilecca nei tentativi di penetrare in una presunta meccanica del complessivo sistema capitalistico, il cui studio “scientifico” - da parte borghese - sfugge, per quanto riguarda strutture e funzioni, alla irrazionalità della intellighenzia borghese e degli interessi che la stessa rappresenta e tutela.
scricchiolii della locomotiva tedesca
Ed a proposito dei meccanismi del sistema finanziario, nell'agitato quadro europeo persino quella locomotiva che sarebbe la Germania, qualche frenata imprevista e qualche scricchiolio nei suoi meccanismi comincia a non poterli nascondere. Per di più nello stesso settore finanziario dove pretenderebbe di dettar legge mentre elogia le virtù di un super-capitalismo rigoroso, efficiente e produttivo. Agli onori della cronaca, anche se piuttosto in ombra, è salita in questi giorni la Commerzbank (seconda grande banca tedesca) declassata dall'agenzia di rating Moody's da C- a D+. I suoi conti sarebbero in rosso a seguito di operazioni con i titoli sovrani europei in crisi (quelli greci in particolare); acquisti effettuati attraverso la sua controllata Eurohypo, specializzata anche in finanziamenti immobiliari e declassata a sua volta da D- a E+. Le urgenze di ricapitalizzazione si fanno impellenti a questo punto: il problema non è solo tedesco poiché il totale richiesto per tutti gli istituti della UE ammonterebbe ad oltre 110 miliardi di euro. In particolare, per Commerzbank, si tratterebbe di un minimo di 6 miliardi di euro, e senza “aiuto pubblico” la faccenda si complica. Da notare che il 25% del capitale di Commerzbank è in possesso dello Stato. A tutt'oggi i dipendenti sarebbero stati convinti a convertire i loro bonus in azioni per un totale di 250milioni di euro, mentre per quanto concerne Eurohypo si comincia a parlare di un probabile downgrading, ovvero declassamento. Nell'attesa di quello generale, per il capitalismo globale…
L'impossibile tassazione dei capitali italiani
Il “supertecnico” governo del prof. Monti - come i precedenti “comitati d'affari per la borghesia” - ammette candidamente di non essere in grado di tassare la ricchezza “liquida” (titoli, depositi, investimenti finanziari) e quella “immobiliare” presente in Italia. Inoltre vi aggiunge il “timore” che le ricchezze possano sfuggire all'estero… Nello stesso momento in cui viene dichiarata questa “strana” impotenza, la Associazione Italiana Private Banking ci informa che
il valore della ricchezza investita nel private banking in Italia nel 2010 ha superato i livelli pre-crisi, al livello più alto da sempre, con 896 miliardi.
Le ultime Relazioni della Banca d'Italia forniscono inoltre sufficienti dati (per il 2010) dai quali si può facilmente risalire quanto meno alla abbondante, enorme “ricchezza mobiliare” della classe borghese. L'impossibilità di un controllo di questa specifica “materia” è quindi smentita dai dati che abbiamo citato più sopra, nonché da quelli forniti da un'altra relazione della Banca d'Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane nel 2010. Risibile diventa la foglia di fico della tassazione dei beni scudati e dei beni di lusso: ammesso che tutto proceda al meglio, si tratterebbe soltanto di circa il 6% della manovra complessiva netta e il 4% delle maggiori entrate. Quanto al resto della manovra “salva Italia”, le stangate (col contorno di lacrime e sangue ma non per tutti) sono tali da confermare anche ai più “ingenui” cittadini la presenza di una elité di illuminati cervelloni, appartenenti a nomi eccelsi di manager finanziari, la quale ha partorito grazie alla sua alta competenza l'ennesimo scarafaggio (persino i topi sono stati esauriti) da far ingoiare al proletariato. Ma lo digerirà?
E mentre si fotografa la realtà di una condizione economica che trasforma milioni di proletari in disperati ed emarginati, la situazione viene interpretata e giustificata come la conseguenza inevitabile (e quindi “naturale” a seguito del progresso che avanza…) di una crescita del divario retributivo fra lavoratori skilled (capaci di cavalcare la rivoluzione tecnologica) e lavoratori unskilled, esposti alla competizione di una massa di lavoratori non qualificati dei paesi in via di sviluppo, prossimi quindi ad entrare anche loro negli infernali gironi dell'inferno capitalistico e dove, per il momento, si vanno a collocare le manifatture dell'economia globale). Confermata è quindi la massiccia riduzione della quota dei salari rispetto ai profitti e alle rendite nella composizione del prodotto interno lordo (in Italia, fra il 1976 e il 2006, 15 punti di Pil sono stati trasferiti dai salari ai profitti, con una media altissima anche nei paesi Ocse comunque altissima, pari a circa 10 punti).
Cresce in Italia, ma non solo, una massa sempre maggiore di lavoratori licenziati, precari, cassintegrati, disoccupati. Una cifra che sta superando i 10 milioni solo per i precari e gli atipici, ai quali si aggiungono milioni di disoccupati, di giovani senza lavoro né per l'oggi né per il domani. Il proletariato, là dove trova la forza per reagire, si appella ancora al “diritto del lavoro salariato” che purtroppo lo lega al capitale proprio quando questi - nello sviluppo globale che lo ha portato all'esplosione di una crisi al cui confronto non sembra reggere neppure quella del 1929 - si trova alle prese con una enorme quantità di forza-lavoro superflua per i suoi processi produttivi. La situazione è tale che con queste superficiali reazioni, pur comprensibili nell'attuale stato di disperazione, il proletariato rischia di mettere in contrapposizione gruppi di lavoratori con altri di differenti Paesi, in una disputa attorno a un piatto di lenticchie talmente povero da non potersi spartire fra chi sta precipitando nella miseria più nera.
La lotta isolata, sparpagliata in singole aziende e situazioni locali e settoriali, ci rende deboli. I tentativi di dar vita a coordinamenti che si originano nella stessa base operaia sono un primo segnale al quale va tutta la nostra solidarietà e, ove possibile, partecipazione. Ma non basterebbe senza un suo sviluppo organizzativo più ampio e permanente, sganciato da ogni logica sindacale e contrattualistica, e soprattutto senza la ricerca di un approfondimento politico, di un indirizzo di più ampio respiro in direzione anticapitalistico, una reazione di classe volta ad un superamento della società borghese nel suo complesso economico. ideologico e politico.
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