Diciamo basta allo stato anti-sociale!

Volantino distribuito il 17 dicembre a Bologna, alla manifestazione degli operatori sociali

Il “sociale” è un settore dell' economia che sta perdendo sempre più la sua funzione di ammortizzatore, perchè in tempi di crisi e di licenziamenti, di esternalizzazioni e delocalizzazioni, dentro un'economia globale sempre più aggressiva e competitiva vengono a mancare i presupposti della redistribuzione.

Tramite l'intervento sociale lo Stato è il redistributore di un certo quid di ricchezza, realizzata dai settori dell'economia produttivi, attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato, verso coloro che in questo sistema sono marginali, i poveri, i portatori di handicap, chi ha un disagio sociale e/o di tipo psichico, oltre che per sovvenzionare la sanità e l'istruzione pubblica (e ora anche quelle private).

Il Capitale può mantenere i propri profitti solo a spese dei proletari, sia sul piano delle condizioni lavorative, che diventano ulteriormente precarie, iperflessibili e sottopagate, sia sul piano della redistribuzione delle “briciole”, su quello della cultura, dell'educazione e della sanità pubblica.

Chi lavora nel sociale sa che siamo stati tra i primi a sperimentare il significato della parola “esternalizzazione”, da una gestione pubblica ad una privata, nelle lunghe mani delle cooperative, dove il nostro lavoro è stato sfruttato ancora di più, sia in termini di retribuzione sia in termini di precarizzazione e carichi di lavoro.

L'Emilia ricca e industrialmente produttiva si è fatta fregio dell'esistenza di un “modello” di welfare che ha potuto chiamare “esemplare” solo perchè il parametro di riferimento era quello di un'Italia complessivamente arretrata su questo piano come su quello industriale, ma che è stato realizzato sottopagando da sempre i lavoratori di questo settore! Attraverso il sistema delle gare di appalto, i servizi sociali sono stati trattati con logiche al ribasso e, anche nell'ipotesi migliore di essere lavoratori a tempo indeterminato (numericamente pochissimi!), siamo costituzionalmente precari perchè se ci sono esuberi legati alla mancanza di utenti, questo basta per licenziarci con “giusta causa” . E non è un caso che la cassa integrazione sia stata estesa anche a noi solo quest'anno, in cui la crisi è particolarmente violenta.

Le nostre lotte - come settore ritenuto marginale - sono di per sé considerate poco pericolose. A questo si aggiungono le varie leggi anti-sciopero varate dai governi negli ultimi decenni che obbligano ad un preavviso di un mese, insieme al fatto di essere sottoposti alla fornitura di un “servizio minimo garantito”... e il gioco è fatto. I nostri scioperi non possono danneggiare nessuno se non gli utenti dei servizi stessi.

Per non perdere il lavoro ci chiedono/impongono “sacrifici”, ma la nostra controparte non è certo una vittima inerme! È parte integrante di questo gioco al ribasso che si svolge contemporaneamente sulla nostra pelle di lavoratori e sulla vita degli utenti! Rifiutare queste condizioni di lavoro, per noi educatori equivale anche a rifiutare il ruolo esclusivo di assistenza e controllo sociale che ci stanno attribuendo. Cosa resta di un lavoro educativo se finiscono i fondi per i progetti riabilitativi? Se gli utenti sono troppi per ogni educatore in turno? Se il funzionamento delle attività viene garantito solo dalla nostra capacità/possibilità di accollarci più lavoro di quanto dovremmo, dalla nostra etica, dalla nostra umanità e dal rapporto umano che instauriamo con gli utenti dei servizi, fino che punto riusciremo a resistere prima di appendere le scarpe al chiodo e rassegnarci a fare i distributori di farmaci?

Dobbiamo essere consapevoli che le trattative sindacali ci stanno servendo ormai solo e al massimo per “concordare” come modulare l'applicazione di condizioni comunque peggiorative, rispetto a quelle che già volevamo cambiare prima; ma non viene messo realmente in discussione il fatto che il “sacrificio” sia inevitabile, esattamente come sta succedendo in ogni altro settore in italia e all'estero.

È arrivato il momento di essere partecipi in prima persona delle nostre lotte, di autorganizzarci fuori da logiche di contrattazione che non hanno più alcun potere reale, di identificare le attività che possono danneggiare a catena anche gli altri servizi e fermarle, di unire le nostre lotte con tutti gli altri settori dell'economia e dire basta a questo scempio e a questo sistema produttivo che non può che continuare a produrre guerre sfruttamento e miseria.