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Che gentile quel padrone! Ci accoglie nella sua azienda per regalarci un briciolo di esperienza, per poter essere più pronti sul nostro prossimo venturo lavoro! Ce ne fossero di uomini così, ancora. Per intendersi, quelli che si chiamano sfruttatori.
Stiamo parlando dei famosi stage/tirocini/alternanze scuola-lavoro. Una maschera delicata per esaudire il vecchio desiderio dell’imprenditore: lavoratori a gratis. Con coscienza di causa, in quanto sono al momento stagista, vengo qui a esporre un po’ come funziona questa amena esperienza...
Il tirocinio formativo, o stage che dir si voglia, è sfruttamento.
È una furbesca trovata per reperire forza lavoro che non si è tenuti a pagare. Le scuse sono tante e c’è sempre l’avvincente gara per accaparrarsi la migliore, da “dobbiamo affiancarti a un nostro dipendente”, a “fai perdere tempo per insegnarti”, a “serve per esperienza”.
Jarballe, per dirla alla Arancia Meccanica. Perché il tutor aziendale, generalmente, insegna una cosa: come fare il lavoro che non vuole fare lui.
Inoltre non ci si mette più di cinque minuti a spiegare come si fa a immettere dei dati, come scrivere un preventivo o come catalogare gli ordini. E lo spessore che può avere nel nostro curriculum un buon mese, buoni due, tre, sei mesi, a scrivere su delle tabelle è pressoché nullo. Diciamo la verità, diteci la verità: lavoriamo a testa bassa sperando che la bontà vi metta mano al portafogli, lavoriamo come tutti e veniamo pagati meno della peggiore miseria. Ma l’importante è che produciamo. Il valore che lo stagista porta all’azienda non viene e non è mai stato riconosciuto, in fondo non abbiamo esperienza, non abbiamo futuro, non abbiamo alternativa. E ciliegina sulla torta è che non si firma un contratto, ma si firma la bufala dei Patti Formativi, anzi peggio a volte firmano solo la scuola e l’azienda.
Nel mondo vi sono anche le imprese furbe - difficilmente “furbe” si lega con oneste - che prendono un tot di stagisti per un mese, così li fanno lavorare, non li pagano, ma intanto loro producono valore, che per l’azienda si traduce in ricchezza e per a chi l’ha prodotto si traduce in meno di niente. Più in basso del sotto-proletariato, considerato una bieca macchina di produzione addirittura gratuita.
O al limite si dà, sempre rimettendosi alla magnanimità del padrone, uno straccio di rimborso spese o un buono pasto, ma ovviamente non sono tenuti. Che poi a questo punto si tratta solo di essere un po' meno rapace verso chi ha lavorato per te.
Senza contare che rimangono cifre irrisorie, in quanto alcuni sono pagati per 3 mesi 1500 euro, o 400 un mese in comune, casi rari e fortunati. Rendiamoci solo conto che si ritiene fortunato chi prende da 500€ in giù al mese.
Mediamente uno stagista spende settimanalmente minimo 30€, considerando 5 euro a pranzo e 5 settimanali per il trasporto. In un mese ne volano 120. Può essere normale che un lavoratore - perché di lavoratori parliamo, non più di studenti - debba perdere 120 euro per andare a lavorare? Per di più il lavoro meno appagante del mondo, per la verità.
Perché aprendo una parentesi è una delle situazioni lavorative peggiori: essere legato a un lavoro castrante, demotivante, ripetitivo e soprattutto gratuitamente.
E noi stagisti dobbiamo solo che fare e tacere. È ulteriormente divertente quando gli studenti vengono trascinati dentro a dei pomposi progetti scolastici - presi anche dall’entusiasmo, ché si finisce prima la scuola - nei quali vengono indottrinati, come al catechismo, di sfruttamento, così da sentirne già l’odore e non farsene un cruccio sul momento, che tanto è solo così che funziona qua. Nella mia esperienza, io e i miei compagni di classe, siamo stati sottoposti a grandiose lezioni di capitalismo, di concorrenza tra lavoratori, di valori aggiunti che possiamo dare all’azienda - ossia le nostre abilità ulteriori, non richieste, che ci permettono di avere allo stesso modo il medesimo stipendio, solo sapendo fare più cose, come riprova che lo stipendio non è il valore del nostro lavoro ma la possibilità di riprodurre la nostra forza lavoro - . Poi abbiamo avuto l’onore di sentire le voci di alcune imprese del territorio, che possibilmente si rifanno all’imprenditoria etica che salverà il mondo. Sempre e solo Jarballe: l’imprenditoria etica è etica per i lavoratori? No, bensì per i consumatori.
E di più! Anche se fosse etica per i lavoratori, non eliminerebbe certo lo sfruttamento del superlavoro, ossia della parte di valore prodotta che supera il livello dello stipendio corrisposto (soldi utili solo per riprodurre la forza lavoro). O anche le pompose enunciazioni su nuovi innovativi strumenti che permettono una più snella sostituzione del lavoratore, senza troppi dispendi.
Compagni, basta davvero! Diciamo di no agli stage! Diciamo di no all’apprendistato! Diciamo no allo sfruttamento!
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