Sulla debacle della “sinistra radicale”

Le elezioni regionali che si sono svolte a fine marzo hanno rappresentato l’ennesimo duro colpo ricevuto dai partiti borghesi che si collocano a sinistra del PD, la cosiddetta “sinistra radicale”, già scomparsi dal parlamento nazionale. Secondo noi le ragioni alla base di questa debacle sono diverse.

  1. La caduta del muro di Berlino - o meglio la crisi del colosso imperialistico sovietico - impose un ricambio ideologico ai vecchi partiti comunisti stalinisti e quindi anche al Partito Comunista Italiano. L’ideologia dominante - sia quella in versione pro Urss che anti Urss - ha sempre sostenuto l’equazione: “socialismo reale” realizzato in Russia uguale comunismo. Il fallimento di quella esperienza coinciderebbe quindi con il fallimento della politica comunista; questa ultima conclusione è stata portata avanti anche da coloro che hanno poi completamente abbandonato - anche come semplice copertura ideologica - la “falce e il martello”, in Italia il Pds-Ds-Pd. Tutto questo sicuramente ha inciso sulla perdita di consensi per i partiti che invece, in un modo o in un altro, sono rimasti ancorati ai principi - elaborati e rielaborati in chiave borghese - di un sedicente comunismo. C’è da dire inoltre che questi partiti non hanno avuto mai una vita realmente autonoma. Non hanno disdegnato infatti la partecipazione (o il sostegno) in governi e amministrazioni locali che tanto hanno fatto per i proletari (…massacrandoli con precarietà, tagli. ecc.). Hanno quindi perso in termini di credibilità e non sono riusciti a raccogliere - nemmeno sul piano elettoralistico - la protesta proletaria.
  2. Visto il livello della crisi, la borghesia italiana ha avuto l’esigenza di dare vita a governi ancora più forti, estromettendo - attraverso manovre di partito e leggi elettorali - la “sinistra radicale” dall’istituzione nazionale per eccellenza, dal parlamento. Insomma: per mantenere un minimo di consenso la “sinistra radicale” avrebbe dovuto comportarsi in modo un po’ più... radicale (almeno dare l’impressione di farlo…) ma questo non era compatibile con l’entrata nel governo del paese.
  3. Avendo perso la tribuna parlamentare questi partiti hanno, di conseguenza, perso anche spazio mediatico e per dei partiti ormai abituati a fare campagna elettorale attraverso la Tv questo è stato un duro colpo. Non a caso il voto di protesta è andato a finire - oltre che in schede bianche e volutamente annullate - in un movimento politico come quello di Peppe Grillo che basa la propria propaganda politica su canali “alternativi” (internet, comizi teatrali).
  4. In Italia l’ideologia dei partiti ormai è andata concentrandosi su Berlusconi: il mito del Berlusca contro gli antiberlusconiani senza se e senza ma, anche il voto di protesta ha risentito di questa situazione ideologica premiando chi meglio incarna l’antiberlusconismo: Di Pietro e Peppe Grillo. Dall’altro lato molti proletari si son schierati con la Lega che fa leva su un’altra arma ideologica: il razzismo (la guerra tra i poveri che da sempre alimenta la borghesia, tornata ultimante molto di moda).
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Insomma, una serie di concause che hanno portato la “sinistra radicale” verso la scomparsa. Ma il fallimento di questi partiti certamente non deve farci piangere, questi sono partiti completamente inseriti all’interno dell’ideologia e dei meccanismi della borghesia che mai sono stati portatori di un programma comunista, e sottolineiamo mai. Il fallimento - anche sul piano elettorale - di questi partiti non è legato ad un destino cieco ma alle loro posizioni politiche e sono posizioni politiche che hanno un fondamento totalmente controrivoluzionario. Questi partiti infatti affondano le loro delle radici storico/politiche in un terreno che nulla ha a che fare con i rivoluzionari. Provengono tutti, politicamente, dal vecchio PC, nessuno di questi ha mai sviluppato una critica al ruolo nefasto che ha avuto questo partito stalinista. Il PCI si è sviluppato di pari passo con lo stalinismo, ha avuto un ruolo controrivoluzionario così come lo ha avuto lo stalinismo nella sua totalità. Il PCd’Italia ha rappresentato un'organizzazione rivoluzionaria fin quando è stato diretto dalla Sinistra Comunista e da partito comunista è entrato da subito in contrasto con la Russia sovietica non appena si è aperta la fase storica controrivoluzionaria. Tra il PCd’Italia, nato nel 1921, e il PCI diretto da Gramsci in poi non c’è nessuna continuità. La sinistra comunista venne cacciata da quel partito, ma queste sono pagine di storia che l’ideologia borghese è riuscita completamente a nascondere o a distorcere. Su questo ultimo aspetto non vogliamo dilungarci troppo, ma invitiamo tutti a documentarsi, sfruttando anche la montagna di materiale che da sempre mettiamo a disposizione.

La storia del PCI stalinista, e dei suoi figli o nipoti…, è una storia di continuo inganno. Purtroppo molti sinceri proletari e militanti hanno creduto in questi partiti. Per un tempo hanno addirittura pensato che il PCI fosse uno strumento di lotta politica rivoluzionaria che avrebbe in qualche modo aperto le porte alla fine dello sfruttamento borghese sul proletariato. In altri tempi, quelli più recenti, sono molti coloro che hanno continuato a credere in questi partiti, almeno come strumenti di “semplice” opposizione alle politiche antiproletarie. Noi speriamo che molti di questi compagni – spesso anche giovanissimi - possano finalmente aprire gli occhi, non perdersi dietro le prossime trovate organizzative dei dirigenti di questi inutili (per i proletari, utili per i padroni…) partiti borghesi e impegnarsi per una militanza politica realmente comunista e rivoluzionaria.

NZ