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“Il lavoro rende liberi”, scrivevano i nazisti ad Auschwitz...
Volantino per la manifestazione a Reggio Emilia contro il "Pacchetto sicurezza"
Una crisi inarrestabile da cui erutta un profondo malessere sociale fatto di insicurezza del posto di lavoro, di salari sempre più insufficienti, di precarietà, incertezza del futuro. È terreno fertile per quelle forze reazionarie, ben prezzolate dal capitale, che hanno tra i loro compiti quello di indicare ai proletari (il mondo del lavoro salariato/dipendente) nell’immigrato il nemico da combattere per sopravvivere alla crisi stessa e alle angosce sociali. L'immigrato - come i precari “bianchi” - è il primo ad essere licenziato (o è tenuto in fabbrica, mentre gli altri sono magari in cassa integrazione, ma solo perché può essere spremuto come un limone) e cosi, su di lui, si scaricano gli effetti immediati della crisi.
È questo il clima in cui è stato partorito il decreto - che ricorda quelli nazisti - sulla “sicurezza”, ultimo, in ordine di tempo, dei diversi provvedimenti anti-immigrati varati da governi di qualunque colore.
La Lega Nord, naturalmente, in questo liquame ideologico ha un ruolo di primo piano: anche se raccoglie non pochi voti operai, essa era e rimane l’espressione politica di settori della piccola e media borghesia del Nord, che in molte delle sue piccole e medie imprese sfrutta migliaia di immigrati, sottopagati o in nero, perché ricattabili con la minaccia della revoca del permesso di soggiorno.
Maroni e la sua banda governativa hanno vomitato la tipica ferocia di chi teme di perdere il proprio privilegio fatto di sfruttamento e oppressione. La clandestinità diventa reato (neonati compresi), si allungano i tempi di prigionia nei centri di espulsione, si incita alla delazione di massa, si complicano e si appesantiscono i percorsi per ottenere un permesso di soggiorno, quindi un lavoro “regolare”, l'unico che “rende liberi” gli immigrati, cioè consente loro di vivere un po' meno peggio rispetto alla condizione di schiavitù in cui sono tenuti migliaia e migliaia di immigrati ridotti alla clandestinità dalle leggi, non certo dalla loro libera scelta.
Per dare il tocco finale a questa livida sceneggiata, sono istituite le sedicenti Ronde, non per prevenire i reati commessi da immigrati, ma per controllare il territorio: i padroni e i loro manutengoli hanno paura che prima o poi la lotta di classe, quella vera, si ripresenti sulla scena, e qualche squadraccia a supporto delle normali forze dell'ordine (borghese) può tornare utile.
La ricetta sembra dunque sempre attuale: portare i meno abbienti a identificarsi non come classe, bensì col territorio su cui vivono. Quale migliore stupefacente si può offrire a quelle frange di proletariato che, private - dopo il crollo del capitalismo di stato dell’Urss - della fiducia in un’alternativa, vedono nel capitalismo l’unico orizzonte “naturalmente” possibile e che, ai primi albori di una crisi, si gettano tra le braccia di chi gli dice all’orecchio: “Abdul ti frega il lavoro”? Oggi, in pochi percepiscono la sicurezza come certezza di un reddito, di una casa, di un’istruzione accessibile per i propri figli. Nessuno scatena campagne di cieco odio e ronde contro i padroni, nonostante ogni giorno siano responsabili della morte sul lavoro di tanti lavoratori, anche non italiani. Eppure basta che a rendersi responsabili di episodi di cronaca siano immigrati, e la rabbia esplode: mai verso l’alto, sempre verso il basso o all’interno dello stesso livello della scala sociale.
La crisi e l’insicurezza sociale hanno un’unica matrice, quella capitalistica: è a causa dello stesso capitalismo che milioni di persone, che dallo stesso sono state depredate e immiserite a casa loro, salpano per venire a “godere” almeno degli avanzi, delle briciole e degli ossi elargiti dal sistema, che ormai stanno scarseggiando. Invece di azzannarci con loro come cani, noi proletari italiani dovremmo almeno iniziare a ringhiare contro il padrone che, insieme a loro, ci tiene legati alla stessa catena.
Invece di bere, come se fossero pura acqua di fonte, i veleni politici del leghismo, occorre dare fiato e gambe all'organizzazione politica di tutti i salariati, “fissi” o precari, immigrati o italiani, che si muova sul terreno del più coerente anticapitalismo: l'alternativa è la barbarie.
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