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Home ›Il Cremlino si prende la Opel, gli operai pagano il conto
Lo storico accordo tra la casa automobilistica tedesca Opel e il gigante austro-canadese della componentistica Magna è stato annunciato il 30 maggio, alla fine di una riunione durata più di 12 ore e conclusasi a notte fonda. Marchionne, amministratore delegato di Fiat, l’altro grande concorrente nella partita, ha dato sfogo alla frustrazione parlando di “una soap opera brasiliana”.
Paradossalmente, uno degli attori più discussi di questa vicenda è stato quello inaspettatamente assente, ossia il governo italiano, i cui rapporti con altre anime del capitalismo nostrano appaiono abbastanza lacerati. A difesa della Fiat e degli “interessi nazionali” si è schierata l’opposizione intera, a partire da Dario Franceschini e Guglielmo Epifani, per arrivare al leader di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero, che a proposito del mancato accordo tra Opel e Fiat ha affermato:
“È evidente che non è un vantaggio, ed è evidente che il governo se ne sia assolutamente fregato, e ciò non ha aiutato.”
Il vantaggio di cui si parla è quello della tanto decantata “competitività del sistema paese”, di cui la classe operaia dovrebbe preoccuparsi, facendosene carico con i necessari sacrifici... In soldoni, la prospettiva “vantaggiosa” sarebbe quella di una corsa dei lavoratori salariati delle singole nazionalità o aree geografiche a farsi sfruttare più dei loro vicini, una strategia che per il proletariato può essere solo suicida. La cosa evidente è che la produzione si sposterà - e si sta già spostando - di volta in volta nelle zone a più basso costo del lavoro, livellando verso il basso, perfino al di sotto della soglia di povertà, i salari e le condizioni di vita della classe operaia mondiale.
Ed infatti l’accordo andato in porto tra Magna e Opel non lascia presagire niente di buono per i lavoratori coinvolti, come d’altronde niente di buono lasciava presagire l’accordo per il momento scartato con la Fiat.
Entrando nello specifico, secondo l’accordo siglato, il 20% del capitale della nuova Opel sarà fornito da Magna, il 35% da Sberbank, un altro 35% resterà alla Gm, mentre il rimanente 10% sarà fornito da dipendenti e concessionari.
Per prima cosa, osserviamo che si tratta di partner tutti inguaiati tanto sul piano industriale quanto su quello finanziario: Magna, produttore austro-canadese di componenti per automobili, ha una certa disponibilità di cassa, ma soffre di un fatturato che si è pressoché dimezzato nel primo trimestre del 2009; Sberbank, prima banca russa, statale e riconducibile al primo ministro Putin, si trova in condizioni economiche peggiori delle banche occidentali; Gaz, casa automobilistica russa nelle mani dall'oligarca Oleg Deripaska, vedrà probabilmente la sua produzione crollare del 60% quest’anno, non è stata in grado di impegnare alcun capitale nell’iniziativa ma promette di vendere un milione di auto all’anno in Russia e Cina.
Si tratta di un colosso industriale da 5 milioni di auto l'anno... e dai piedi d’argilla. Il tentativo di rilancio delle attività Opel, che al momento appare abbastanza velleitario, non potrà che passare su pesanti ristrutturazioni, tagli di personale, inasprimento dei ritmi a tutto danno della forza lavoro. Già circolano le prime indiscrezioni secondo cui il governo tedesco si aspetterebbe per Opel, nel breve periodo, la perdita di 11mila posti di lavoro, dei quali circa 2600 solo in Germania. Le cifre saranno sicuramente molto più consistenti nel medio periodo, considerando anche i dipendenti Magna e tutto l’indotto. Infatti si stima che il settore automobilistico soffra nel suo complesso di una sovraccapacità produttiva del 30%, manifestazione evidente di una crisi di sovraccumulazione di cui soffre l’intero sistema capitalistico, sviluppatasi secondo un meccanismo che Marx era riuscito ad analizzare nei suoi tratti essenziali già nel Capitale.
In questa operazione, il proletariato europeo (e mondiale) ricopre il ruolo del grande sconfitto, o dell’agnello sacrificale da sgozzare sull’altare del profitto. D’altra parte, questa è l’unica prospettiva che il capitale in crisi offre ai lavoratori salariati.
Per ora, il vincitore risulta essere invece l’imperialismo energetico russo, che è riuscito a mettere le mani su Opel, ossia uno dei perni del sistema produttivo dell’Europa centrale, tanto che il Sole24Ore ha potuto titolare la vicenda come “vittoria politica dell'asse del gas Putin-Schröder”. Secondo quanto riporta il sito di Limes:
“Nella settimana decisiva per Opel, Angela Merkel e Vladimir Putin si sono parlati due volte al telefono, nella totale riservatezza. [...] E sarebbe sceso in campo anche l’ex cancelliere Gerhard Schroeder, amico e gran difensore di Putin. Oltre che presidente del consorzio Nord Stream, che deve realizzare il gasdotto diretto Germania-Russia, fortemente voluto dal Cremlino e strenuamente osteggiato dai Paesi orientali di transito del metano russo. [...] C’è poi l’aspetto finanziario: Magna-Sberbank avrebbero fatto al governo tedesco un notevole sconto rispetto alle richieste Fiat in termini di garanzie pubbliche. Tutto questo, però, non cancella l’alta valenza politica dell’affare. Anzi, conferma che neppure l’imminenza elettorale in Germania ha frenato l’Ostpolitik del governo tedesco, che con Merkel non procede ai ritmi entusiastici dell’epoca Schroeder, ma continua, nel segno del pragmatismo.”
Ma al Cremlino i brindisi non devono essere durati a lungo. Infatti il governo si trova a fronteggiare una crisi che in Russia sta avendo ripercussioni più gravi del previsto. Per i prossimi tre anni sono previste manovre di forte riduzione della spesa, a fronte di un deficit di bilancio che per il 2009 è previsto ad almeno il 7%, un prodotto interno lordo crollato del 9,5% nel primo trimestre dell’anno e destinato a contrarsi del 6-8% su base annua secondo le nuove stime del governo, e i 3 milioni di posti di lavoro persi dall’estate scorsa che hanno fatto balzare il tasso di disoccupazione al 10,5%, il livello più alto degli ultimi dieci anni.
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