Il 1968 - Dopo trent'anni, ribadiamo la nostra posizione

Ignoriamo volutamente le sciocchezze più o meno interessate dette sinora in occasione del trentennale:

I fatti dicono che quello del 1968 fu essenzialmente, nel mondo occidentale, un movimento studentesco. Ciò significa che era sostanzialmente un movimento della piccola borghesia (con l'eccezione, in parte, della Francia e del 69 in Italia, nei quali paesi intervenne una "complicazione operaia").

La piccola borghesia iniziava a percepire gli effetti di una nuova fase del capitalismo nella quale essa avrebbe perso i vecchi privilegi. E sappiamo che la piccola borghesia è politicamente instabile e oscilla fra destra e sinistra in base alle peculiarità dei tempi.

I vecchi partiti comunisti filo sovietici andavano sempre più a destra; la Cina aveva da poco rotto con l'Urss e stava crescendo come polo "comunista" indipendente tramite la critica del "socialimperialismo" dell'ex alleato.

La sua dipendenza economica dall'Urss era divenuta un impedimento alla sua crescita: l'Urss aveva continuato a drenare materie prime, alimentari e prodotti industriali a basso prezzo vendendo un po' di petrolio, vecchi trattori e una tecnologia povera a prezzi più alti.

Dunque perché non vendicarsi con l'accusa di social-imperialismo? Perché non tentare di porsi come nuovo polo del "comunismo", della "rivoluzione" come sinceri e coerenti eredi del Grande timoniere Stalin, rinnegando Krusciov, eccetera?

E quella era una grande novità nel movimento della sinistra borghese che affascinò la piccola borghesia così come molti del vecchio movimento stalinista.

Ecco gli ingredienti del 1968: le masse studentesche che temono un futuro impoverimento e un pensiero radicale per la sua direzione, miscelato con l'altro elemento, tutto ideologico, della Nuova Sinistra sorta sulla base della "integrazione della classe operaia" (ricordate Marcuse?).

Dicevamo questo nelle assemblee di massa studentesche e raccogliemmo insulti e minacce. Chi di noi non era conosciuto per essere stato fra i primi agitatori nelle università e nelle scuole ricevette anche bastonate dagli studenti "rivoluzionari".

È magra soddisfazione vedere oggi molti dei leader di allora che accusavano noi di cripto fascismo perché noi li criticavamo per ciò che erano piccolo-borghesi, che al più avrebbero fatto carriera nella borghesia, occupare oggi i più reazionari posti dell'apparato ideologico-politico della borghesia e spesso addirittura della destra borghese.

Per quanto riguarda la complicazione operaia essa intervenne perché erano i contratti collettivi di importanti categorie. C'era allora spazio per alcune piccole conquiste salariali ed era facile, sull'onda del movimento studentesco criticare la vecchia struttura sindacale come burocratica e immobilista. Come risultato si ebbe una crisi "salutare" dei sindacati che furono capaci di ristrutturarsi sotto la spinta della "sinistra rivoluzionaria": i consigli dei delegati al posto delle vecchie commissioni interne, "assemblee democratiche" invece delle decisioni dall'alto. Era la socialdemocratizzazione dei sindacati... e della società.

È generalmente detto che il Sessantotto ha cambiato la vecchia società. È vero: l'ha resa più socialdemocratica, cioè ha definitivamente inserito i sindacati e i partiti di sinistra nell'amministrazione delle faccende questioni economiche e sociali della formazione sociale borghese. Nulla di più e nulla di meno. Questo in Italia.

In Francia sembrò che le cose fossero andate oltre: il movimento operaio era più esteso e più radicale ed anche il dibattito politico andò un po' più avanti che in Italia. Gli accordi di Grenelle conclusero il movimento nello stesso identico modo: la socialdemocratizzazione.

Pochi anni dopo emerse, non a caso, l'eurocomunismo, dal che traemmo ragione e occasione per la convocazione della Prima Conferenza Internazionale della Sinistra comunista.

Nei 30 anni che ci separano dal '68 è nel frattempo giunto nella sua fase conclusiva il ciclo di accumulazione del capitale. La fase di crisi, prolungantesi nel tempo, ha indotto nuovi fenomeni, fra i quali un ritorno del sindacato alla blindatura nel suo ruolo di agente capitalistico in senso alla classe. E i "rivoluzionari" di allora - chi nei medesimi sindacati, chi nel variegato arco di partiti da destra a sinistra, chi dai mass-media - fanno l'unica politica che la crisi consente: bastonare e nel frattempo ingannare una classe operaia, ancor più disarmata che allora.