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Volantino per il primo maggio, sintesi del documento della TCI
Ancora un Primo Maggio all'insegna dell'acutizzarsi delle tensioni imperialistiche, che stanno producendo guerre, che minacciano di accenderne di nuove, evocando il fantasma di conflitti ben più ampi e distruttivi.
La cornice di questo scenario è stabilita dalla crisi del processo di accumulazione del capitale, da oltre quarant'anni il motore di quanto si muove in tale quadro.
Al ridimensionamento di molte aree dell'«Occidente avanzato» è corrisposto un esodo dei capitali là dove la forza lavoro è pagata pochissimo e la dittatura padronale non ha limiti, neppure i deboli argini giuridico-sindacali qui ancora esistenti, ma in progressivo smantellamento. La cosiddetta apertura dei mercati ha posto i segmenti della forza lavoro mondiale in concorrenza diretta, in una rincorsa al ribasso delle condizioni generali di lavoro ; il peggioramento delle esistenze proletarie e di quelle di altri strati sociali medio-bassi, è accelerato dal ruolo abnorme assunto dalla speculazione finanziaria.
L'euro è un altro momento fondamentale nel percorso di costituzione di un polo imperialista europeo, uno strumento per contrastare l'egemonia statunitense. Uno strumento, anche, per amministrare al meglio una crisi che non passa. E' questa, non una moneta, che spinge i governi a imporre politiche economico-sociali che deprimono il salario diretto, predano quello indiretto-differito (lo “stato sociale”), che hanno effetti micidiali per l'occupazione (precarietà, disoccupazione). E' sempre la crisi che inasprisce lo scontro tra interessi imperialisti contrapposti fino a trasformarli in guerre aperte.
Chi ne paga il conto sono i civili inermi, i proletari, i diseredati: massacrati, avvelenati, immiseriti, costretti ad abbandonare le loro case per cercare un rifugio precario – se sopravvivono all'esodo – in paesi i cui governi non li vogliono o, meglio, li vogliono solo come “braccia” da sfruttare senza limiti.
Nell'assenza di un punto di riferimento classista, la sinistra variamente riformista illude (e si illude) il “popolo di sinistra” con ricette economico-sociali che oggi non hanno nessun spazio. Non sono solo le “banche” e il “neoliberismo” il problema, è il capitalismo in ogni sua espressione: è con questo che bisogna rompere; quella sinistra, però, non si sogna nemmeno di ipotizzarlo. La vergognosa, ma non sorprendente, vicenda di Syriza in Grecia dovrebbe essere la pietra tombale delle illusioni riformiste, invece vengono continuamente riproposte.
Dall'altra parte, l'estrema destra, il “populismo” cresce sull'onda della devastazione sociale provocata dalla crisi, cattura strati di piccola borghesia declassata e anche di proletariato, ideologicamente frastornato e disilluso da una sedicente sinistra sempre pronta ad assecondare il capitale. Ma le ricette economiche populiste per “uscire” dalla crisi non sono, in fondo, molto diverse da quelle della sinistra riformista, perché tutte e due rimangono sul terreno capitalistico: uscita dall'euro, protezionismo, intervento dello stato e via dicendo. In ogni caso, avrebbero costi altissimi che verrebbero interamente scaricati sulle classi che si dice di voler difendere: la piccola borghesia impoverita e, prima di tutto, il proletariato.
Un proletariato che fatica a rispondere al suo nemico, alla borghesia. Solo alcuni segmenti del lavoro salariato - in genere i settori più oppressi della nostra classe, i lavoratori della logistica, in maggioranza immigrati – hanno saputo condurre lotte determinate e coraggiose, oltre e spesso contro la prassi del sindacalismo maggioritario, più integrato nei meccanismi di gestione della forza lavoro per conto del capitale. Ma le forze politiche che le dirigono le mantengono rinchiuse nell'ottica sindacalista, sia pure di un sindacalismo radicale, impedendo, di fatto, il salto-maturazione su di un piano adeguato allo scontro con il capitale, quello politico. Se questo è vero sempre, lo è a maggior ragione oggi, quando la crisi ha enormemente ristretto (se non annullato) i margini di contrattazione. La crisi rafforza la necessità di dare allo scontro di classe una prospettiva non sindacale, ma comunista, complessivamente antagonista alla società borghese.
Prendere coscienza dei meccanismi del capitale, delle logiche del dominio borghese, dei criminali giochi di potere dell'imperialismo; comprendere il carattere truffaldino dei programmi della sinistra riformista e della destra populista, non significa che non esistano alternative. L'alternativa passa per un percorso di lotta - oggi meno che mai facile - contro il capitalismo in TUTTE le sue articolazioni. Passa per la costituzione dell'organizzazione rivoluzionaria che sappia raccogliere la rabbia contro questo sistema disumano e la incanali verso il suo superamento.
Cent'anni fa, il proletariato rivoluzionario russo aveva rotto un anello della catena con cui la borghesia opprimeva il proletariato e i diseredati del mondo intero. Se ricordiamo l'Ottobre 1917 non è per sentimentalismo, ma per sottolineare come quell'esperienza abbia dimostrato che un altro mondo è davvero possibile. Il primo tentativo di entrare in un mondo nuovo è stato sconfitto, ma non è detto che debba essere così per sempre.
Solo riprendendo e sviluppando la prospettiva che cent'anni fa entusiasmò e guidò il proletariato cosciente di tutti i paesi potremo fermare il degrado delle nostre vite, la distruzione irreversibile dell'ambiente, le guerre imperialiste con i loro tragici effetti non collaterali di morte e sofferenza.
COMUNISMO O BARBARIE, non c'è altra scelta!
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