La vera storia dei minatori cileni

Il cartello dice “70 giorni senza né lavoro né paga. Vogliamo subito i nostri soldi. Non ci derubate!”

"Non siamo solo 33, siamo 300” si leggeva il 17 ottobre su un cartello esposto da un minatore in protesta. Mentre i media di tutto il mondo erano pieni di storie strappacuore sul salvataggio dei 33 minatori intrappolati nella miniera di San José, un'altra storia si sviluppava proprio dietro alle telecamere, largamente ignorata, visto che non si adattava bene alla nauseante orgia di sentimenti nazionalistici e religiosi che ha circondato il salvataggio.

La verità è che in Cile (così come in Cina e in ogni altro posto) le vite dei minatori di solito non valgono nulla. Dopo il crollo nella miniera di San José, in agosto, quelli che scamparono al disastro furono immediatamente licenziati. L'azienda (la Compañía Minera San Esteban Primera), che aveva appena riaperto il sito a seguito degli alti prezzi del rame sul mercato mondiale, molto probabilmente andrà presto in bancarotta. È sotto indagine per gli abusi sulla sicurezza in entrambe le sue miniere, ora chiuse. Un dirigente è già sotto processo. I minatori continuano a chiedere, come hanno fatto per tutto il periodo del salvataggio, che l'azienda paghi loro gli stipendi di settembre e la liquidazione che gli deve per legge. Altrimenti, non possono cominciare un altro lavoro. Si capisce quindi il cartello mostrato nella foto. Il presidente Sebastian Pinera, che ha spremuto dal salvataggio tutto ciò che poteva e che parla a vanvera di un “nuovo corso” per dare “dignità” a tutti i lavoratori, all'atto pratico si è rifiutato di intervenire per aiutare anche solo i minatori di San Josè.

CWO

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.