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Il neo riformismo alla ricerca di nuovi percorsi democratici e partecipativi
Sotto le insegne di una delle tante illusioni riformistiche, quella della regolamentazione del mercato, il movimento dei movimenti aveva partorito prima la proposta della Tobin tax e poi l’ipotesi del bilancio partecipativo. Dalle fabbriche ai municipi; dal potere operaio a quello municipale. L’esempio doveva essere Porto Allegre, dove una minima parte di “cittadini” impegnati nel sociale consigliava all’Amministrazione qualche intervento riparatore per scuole, abitazioni, manutenzione stradale, illuminazione, assistenza ai bisognosi. Bilancio comunale permettendo.
Chi ammette questi spazi formali, lo fa con l’intento di ottenere un maggior legame dei “cittadini” con le istituzioni; un maggior consenso ai riti pseudo democratici, tipo consigli di quartiere e altri “istituti partecipativi” debitamente sterilizzati, per una illusione di gestione pubblica dell’esistente. Rendendo tutti consapevoli delle esigenze di una compatibilità con le risorse disponibili, cioè campa cavallo... In quest’ottica, qualcuno arriva ad immaginarsi sistemi di democrazia diretta dal basso, in convivenza con il potere statale (borghese) ma separati da esso fino ad... assorbirlo e renderlo superfluo. Da sempre avviene il contrario, ma pazienza. Ci penseranno poi Lula e Chavez, coi loro partiti dei lavoratori, ad amministrare come si deve lo Stato lasciando circolare progetti di governi locali che si affiancherebbero a quello centrale, democratizzato anch’esso ma pur sempre e necessariamente istituzionalizzato in base alle strutture di una società (e di un modo di produzione e distribuzione) che nessuno si sognerebbe un giorno di ribaltare. Intanto, e per questo, il governo federale del Brasile e il Banco do Brasil sponsorizzano il Forum Sociale Mondiale; a Parigi nel 2003 fu addirittura il governo Chirac a finanziare il Forum europeo.
La moltiplicazione delle istanze soggettive si trascina in una confusa rincorsa riformistica alla ricerca, con l’etichetta democratico-partecipativa, di legali finanziamenti per governare la globalizzazione capitalistica, discutendo sul come riparare a qualche suo eccesso ed effetto indesiderato. Non si parla di cause, naturalmente: facendo questo saremmo degli astratti teorici di fronte a tanto pragmatismo e a tante soluzioni concrete che volteggiano nell’aria. Tant’è che gli stessi flussi finanziari, ovvero l’ingigantirsi del parassitismo speculativo e del rastrellamento a tutti i costi di quote di plusvalore, dovrebbero - sempre secondo i movimentisti - essere corretti senza per questo incrinare gli istituti che gestiscono mercati e rapine, dalla Banca Mondiale al Fmi. Insomma, un capitalismo ancora una volta “più umano e più giusto”, all’insegna del vogliamoci tutti bene. Magari, e perché no, pianificato. Nell’alternativa democratica è possibile incontrare anche qualche anima bella che vorrebbe un progetto più “azzardato”. Quale? Una “economia di giustizia al posto del neoliberismo” (non certo del capitalismo!) e che anteponga l’uomo al mercato. Benedizione papale assicurata. Quanto ai disegni futuristici, cercateli fra i modelli economici alternativi dove spicca il commercio equo e solidale. E i Social Forum, veri e propri fronti populisti, si lamentano delle devastazioni dell’imperialismo nel mondo ma non disdegnano aiuti dalle benefiche organizzazioni non governative, mantenute dai rispettivi governi e dalle Nazioni Unite. Ricevendo persino qualche finanziamento dalla compagnia petrolifera Petrobras o da agenzie dell’imperialismo Usa come la Ford Foundation (già collaboratrice con la Cia a scala internazionale) e la Rochfeller Foundations... Un compromesso, per aver soldi, si ha pur da fare.
In queste palestre di sperimentazione, le energie e le intelligenze di molti “sepolcri imbiancati” si agganciano nuovamente ai corpi istituzionalizzati (sindacati e gruppi politici costituzionali) in funzione della conservazione capitalistica. Tutti con la pretesa di una rappresentanza della “società civile”. La mozione finale e semi ufficiale, uscita dall’ormai mitica riunione di Porto Alegre, fu in tal senso chiara e precisa. Vi si leggeva:
Noi lottiamo per l’affermazione di una democrazia elettorale e partecipativa nel mondo; per la necessità di democratizzare gli Stati e la società.
Appelle des mouvement sociaus
Cosi va avanti, e si ripete da un fallimento all’altro, il tentativo - con la “partecipazione di protagonisti indipendenti della società civile” - di stemperare all’interno della società civile gli antagonismi fra le classi che la compongono. Nel frattempo, stressato per i troppi impegni, il radical-riformismo ripiega sul contatto con gli enti locali più disponibili e le emergenze territoriali, mentre si sono arenate le campagne per la Tobin tax, debito estero, Omg e bilanci partecipativi. La fase espansiva del movimento si è accartocciata fra lo sgomitare di cattolici, terzamondisti, ambientalisti, Lilliput, antagonisti, radicali dei centro sociali, anarchici, disobbedienti, rifondazionisti, agnolet-tiani, ecc. Siamo alla fase carsica: il movimento c’è ma non si vede perché è alla ricerca di nuovi percorsi. Si lavora nell’ombra delle sperimentazioni ideologiche, il che, per dei movimentisti, non è da poco.
L’importante - per tutti costoro - è prendere le distanze da quel marxismo rivoluzionario (una “cosa del passato”!) che pretenderebbe di superare il capitalismo e la società borghese invece di una semplice e formale correzione dell’uno e dell’altra. I correttori, infatti, si muovono nei limiti di alcuni effetti distributivi e mai con una analisi critica, con una coerente presa di coscienza e un conseguente programma strategico rivolto ad una trasformazione radicale dei processi produttivi fondamentali che caratterizzano il capitalismo nel suo totale dominio. Entro quei limiti, in fondo, la borghesia li può benissimo sopportare.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2007
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