Nigeria - Enormi rendite petrolifere e miseria

In milioni soffrono la fame mentre la borghesia realizza profitti da favola: due facce della stessa medaglia

Negli ultimi mesi la Nigeria ha occupato ampio spazio nelle cronache, non solo italiane, soprattutto a causa dei frequenti rapimenti di lavoratori stranieri. Limitandoci all'Italia, dopo il rapimento di 4 dipendenti dell'Agip, avvenuto in dicembre e per due di loro non ancora conclusosi, il 24 febbraio sono stati sequestrati per pochi giorni due tecnici della Impregilo, che nella regione del Delta del Niger è impegnata nella costruzione di ponti e strade.

La recente esplosione di violenza, in effetti, è legata ad una situazione economica, politica e sociale complicata e gravida di stridenti contraddizioni, di cui invece si parla ben poco. Basti pensare che, pur essendo la Nigeria sede dei più importanti giacimenti petroliferi e il più popoloso degli stati africani, due terzi dei suoi 140 milioni di abitanti sopravvivono, quando ce la fanno, con meno di un dollaro al giorno.

Il comparto petrolifero costituisce un terzo del PIL e il 76% delle entrate governative ed ha permesso alla Nigeria, prima tra le nazioni africane, di ripagare il debito contratto nei confronti del Club di Parigi. Gli enormi giacimenti su cui poggia la Nigeria sono stimati in 35 mld barili di petrolio e 2,7 mld di metri cubi di gas, e la pongono al primo posto in Africa e all'ottavo nel mondo. Il loro sfruttamento è nelle mani delle principali multinazionali petrolifere, tra cui spiccano Shell, Mobil, Chevron-Texaco, Total e Agip.

L'importanza del petrolio nigeriano è enorme non solo per il governo locale, ma anche per i paesi importatori. La Nigeria è il quinto fornitore di petrolio degli Stati Uniti, con volumi tali che, se l'anno scorso gli attacchi dei ribelli non avessero ridotto la produzione nigeriana di circa 500 mila barili al giorno (un quarto della capacità), avrebbe già surclassato l'Arabia Saudita.

Lo scorso aprile anche la Cina ha firmato importanti accordi commerciali con la Nigeria, impegnandosi ad investire 4 mld $ nella riparazione e costruzione di infrastrutture, comprese ferrovie e centrali elettriche. In cambio la compagnia petrolifera statale cinese Cnooc è riuscita ad accaparrarsi una quota del 45% (pari a circa 2,3 mld $) in una concessione per importanti giacimenti offshore, sia di petrolio che di gas. Inoltre si è assicurata il diritto di prelazione su altri 4 giacimenti, sia offshore che sulla terraferma.

Naturalmente questo ingente flusso di dollari non solo alimenta la macchina statale, ma stimola anche gli appetiti personali di politicanti e affaristi. La corruzione infatti è un fenomeno assai diffuso, a tutti i livelli, ed è destinata a giocare un ruolo importante anche nelle prossime elezioni, che si terranno in aprile. Una commissione voluta dal presidente Obasanjo (sia pure solo per eliminare i candidati a lui invisi) ha individuato ben 135 casi di corruzione, appartenenti a tutti gli schieramenti politici.

Chi resta escluso dal flusso di denaro relativo alla rendita petrolifera sono i proletari e i diseredati nigeriani che vivono in condizioni economiche, sanitarie e sociali terribili. La grande maggioranza delle case è priva di acqua corrente ed energia elettrica. La spesa sanitaria è pari ad appena l'1,3% del PIL. La spesa per l'istruzione non arriva all'1%. Ma se le rendite non toccano il proletariato, lo stesso non si può dire per l'inquinamento delle falde e gli altri danni ambientali collegati ai processi estrattivi. Ad esempio il cosiddetto “gas flaring”, ossia la pratica di bruciare a cielo aperto il gas naturale collegato all'estrazione del greggio, concorre a disperdere nell'aria tossine inquinanti come il benzene, che tra le popolazioni locali ha provocato un aumento esponenziale di tumori e malattie respiratorie, quali la bronchite e l'asma. Oltre al rilascio di gas serra, il gas flaring provoca nella regione piogge acide, che depositano dappertutto una patina nerastra, estremamente corrosiva.

L'unica maniera che alcuni disperati trovano per guadagnarsi da vivere è rubare petrolio dalle pipeline (bunkering) per rivenderlo al mercato nero. Non sono però rari i casi di incidenti. L'ultimo è accaduto a dicembre, presso Lagos. Allora nell'incendio scoppiato attorno all'oleodotto morirono carbonizzate 269 persone, secondo le autorità. Ma un fotografo della Reuters presente sul posto ha parlato di “500 forse 700 corpi bruciati”.

È in questo contesto che proliferano i gruppi di ribelli, artefici dei recenti attentati e rapimenti. Tra di essi il principale pare essere il MEND (Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger). La sua ascesa repentina ha seguito da vicino la riduzione degli attacchi da parte della NDPVF (Forza Volontaria del Popolo del Delta del Niger), dopo l'arresto nel settembre 2005 del suo capo, Mujahid Dokubo-Asari, accusato di “tradimento”. Secondo le email inviate ai quotidiani di mezzo mondo dal portavoce e leader del movimento, Jomo Gbomo, e secondo quanto dichiarato anche da uno degli ostaggi, il MEND rivendica “una più equa distribuzione dei proventi del petrolio”. Inoltre, il gruppo chiede la liberazione di Asari e Diepriye Alamiyeseigha. Quest'ultimo, ex-governatore dello stato di Bayelsa, accusato di corruzione e riciclaggio di denaro sporco, secondo il Manifesto dell'11/2, “sarebbe stato incarcerato perché troppo vicino all'attuale vice-presidente e arci-nemico di Obasanjo Atiku Abubakar, che secondo voci insistenti sarà a sua volta arrestato a breve”.

Si richiamano al MEND anche altre organizzazioni, quali il FNDIC (Federazione delle Comunità Ijaw del Delta del Niger), responsabile del rapimento di 24 marinai filippini, rilasciati il 13 febbraio. Le differenze che caratterizzano i diversi gruppi non sono molto chiare, ma il FNDIC sembra maggiormente disponibile a riconoscere l'attuale presidente, Obasanjo, quale interlocutore: per il rilascio dei 24 filippini infatti chiedeva al presidente la sostituzione del candidato governatore nello stato del Delta. Ma se il MEND rifiuta il dialogo con l'attuale governo federale, tuttavia non sembra perseguire altri obiettivi che una nuova spartizione del potere locale e dei rivoli di petro-dollari, probabilmente godendo anche di consistenti finanziamenti internazionali. Alcuni indirizzano i sospetti verso la Cina, che potrebbe avere interesse a sgombrare il campo dagli scomodi concorrenti occidentali. Non è quindi un caso che a riguardo degli ostaggi i ribelli abbiano dichiarato: “li terremo fino alle elezioni, li libereremo con un nuovo governo”.

In sostanza, nessuna delle organizzazioni ribelli mette in discussione le reali cause della grave situazione in cui versa il proletariato nigeriano. Ciascuna di esse tenta invece, per strade parzialmente diverse, di ottenere un posto al banchetto della rendita petrolifera, senza denunciare i meccanismi di generazione della rendita stessa. Tutte ricorrono alla pratica, da condannare senza riserve, dei sequestri di lavoratori stranieri, la cui vita viene messa a rischio e usata come merce di scambio in giochi che sono a loro estranei. Infatti, a dispetto delle aspirazioni della popolazione e di molti giovani miliziani, la eventuale “diversa” ripartizione dei proventi del petrolio non sposterebbe di una virgola i termini del problema, lasciando il proletariato nella completa miseria. Le rendite continuerebbero a essere spartite tra politicanti, di ogni livello, e compagnie petrolifere, sia che queste abbiano sede in Nigeria o negli Stati Uniti, in Europa o in Cina.

Il proletariato nigeriano, assieme a quello internazionale, ha ormai un solo compito: abbattere questo sistema di produzione fondato sul profitto, non solo per sfuggire alla miseria e alla barbarie sociale, ma anche per evitare un vero e proprio disastro ecologico.

mic

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.